Riscontrata la presenza di glifosato nella pasta, ci sono delle marche del nostro Paese, che però forniscono la loro versione. Cosa è emerso in seguito ad una recente analisi ripresa direttamente dall’AIRC.
Glifosato nella pasta, è di nuovo allerta. Tracce di questa sostanza, utilizzata come erbicida, sono state trovate in diversi prodotti comunemente in vendita in tutti i supermercati italiani ed in diversi negozi di alimentari.
C’è un apposito studio in relazione alla presenza di glifosato nella pasta e del quale parla l’AIRC – la Associazione Italiana Ricerca sul Cancro – sul proprio sito web. Tale sostanza è infatti considerata potenzialmente cancerogena, se assunta in maniera continuata nel tempo.
In queste situazione il glifosato nella pasta può portare ad un accumulo di tossicità nell’organismo, anche in seguito ad assunzioni con quantità esigue. Quello di cui parla l’AIRC è solo l’ultimo di tutta una serie di studi pubblicati su questo delicato argomento.
Va anche detto che la pericolosità del glifosato è in realtà fortemente presunta e che c’è “solo” un massiccio sospetto in merito alle possibilità che questo erbicida possa portare al sorgere del cancro.
Ma di certo una sostanza tossica utilizzata per impedire la crescita di erbacce ed anche di parassiti non può fare certamente bene, se assunta all’interno di un alimento che siamo soliti mangiare più volte nel corso di una settimana.
La rivista dei consumatori svizzera “K-tip” ha compiuto una analisi, per l’appunto ripresa anche dall’AIRC. Tale rilevamento riguarda la presenza di glifosato nella pasta in 18 prodotti ognuno recante un marchio diverso.
E sono quattro quelli italiani che hanno mostrato un contenuto di questa sostanza. Nonostante comunque in tutti questi casi il livello riscontrato sia risultato inferiore rispetto al limite massimo fissato dalle apposite normative europee in materia di sicurezza alimentare.
Si tratta di Agnesi, Divella, Garofalo e Lidl. I quali però hanno voluto precisare come il quantitativo emerso risulta essere di circa mille volte più basso rispetto a tale limite. E dunque la cosa a loro avviso non costituisce alcun pericolo per la salute dei consumatori.
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