C’è un concreto rischio del quale parlano alcuni esperti. Il loro tono è decisamente preoccupato e tutti quanti loro chiedono a chi di dovere di intervenire con immediatezza e con fermezza.
Influenza aviaria, la statunitense Georgetown University è estremamente pessimista sul quadro che si prospetta in tal senso tra non molto tempo. A parlare è il professor Jesse Goodman, che insegna lì nel prestigioso ateneo a stelle e strisce e che fa riferimento ad una “potenziale, potente pandemia del virus H5N1”. Che è proprio quello che provoca la influenza aviaria.

Questo grido che ha il compito di mettere tutti quanti sul chi va là ha trovato pubblicazione sulla rivista Science. Queste conclusioni sono giunte anche tenendo memoria degli insegnamenti che l’umanità tutta ha tratto (o si spera che lo abbia fatto) dalla pandemia legata al Coronavirus. E suona come un invito alle autorità competenti a fare qualcosa.
Che sintomi ha l’influenza aviaria?
I sintomi di questa malattia che colpisce alcune specie di volatili sono rappresentati in particolar modo da congiuntiviti, febbre, dolori muscolari, tosse e mal di gola. E l’influenza aviaria può colpire anche l’uomo, a seguito di contatti stretti con animali infetti, anche morti. O con le loro escrezioni. Non c’è invece nessun rischio di contagio mediante il consumo di carni ed uova.
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Per colpa dell’influenza aviaria ci sono stati abbattimenti di milioni di capi di allevamento in tutto il mondo. Con relativi danni in ambito economico, oltre che alla vita di questi sfortunati animali.

Il pool di scienziati che ora parla di questo potenziale pericolo pandemia di influenza aviaria invoca l’aiuto di governi ed enti sanitari internazionali. Bisogna creare dei vaccini appositi e diffonderli anche nei Paesi a basso reddito, senza pensare di volerci trarre un guadagno. Ovviamente si tratta di situazioni impossibili da realizzare.
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Com’è la situazione nel nostro Paese
Per colpa dell’influenza aviaria ci possono essere conseguenze gravi, dalla salute e sanità fino a perdite economiche e restrizioni commerciali. Perciò bisogna porre subito rimedio.
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Aspettare non fa altro che peggiorare le cose, in un quadro generale già alquanto compromesso nel mondo. In Italia le autorità sanitarie preposte riferiscono della esistenza di focolai in quelle regioni dove gli allevamenti avicoli sono più diffusi. Ovvero Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Lazio e Piemonte.