C’è un motivo che riguarda il perché i wafer sono detti anche napolitaner (o neapolitaner), con anche un ulteriore dettaglio in merito.
I wafer che conosciamo e amiamo come “napolitaner” nascondono in realtà una storia affascinante che affonda le sue radici in un connubio perfetto tra la maestria dolciaria e la qualità delle pregiate nocciole italiane.
Contrariamente a quanto il nome potrebbe suggerire, la loro origine non è direttamente legata alla città di Napoli. Il termine “napolitaner” deriva invece dal tedesco “neapolitaner” e si riferisce all’ingrediente chiave che caratterizza questi deliziosi biscotti: le nocciole.
Le prime ricette di wafer napolitaner risalgono al XIX secolo e prevedono l’utilizzo esclusivo di nocciole provenienti dai territori intorno ad Avella, un piccolo comune in provincia di Avellino, in Campania.
Queste nocciole erano all’epoca considerate le più pregiate e saporite d’Europa, grazie al loro aroma intenso e al gusto delicato. La loro fama era tale che venivano esportate in tutto il mondo, diventando un simbolo di eccellenza gastronomica italiana.
E non a caso in spagnolo e portoghese il termine “nocciola” si traduce rispettivamente con “avellana” e “avella”. Ecco spiegato perché i wafer sono detti anche “napolitaner” o “neapolitaner”.
Perché i wafer sono detti anche napolitaner? C’è anche un altro motivo
I wafer napolitaner sono uno dei dolci austriaci più famosi e diffusi al mondo, e il loro nome è proprio legato a uno degli ingredienti chiave utilizzati nella loro preparazione.
La storia di questo iconico prodotto inizia nel 1898, quando l’imprenditore viennese Joseph Manner lancia sul mercato il primo “wafer napolitaner” con il nome di “Neapolitaner Schnitte No. 239”.
Si tratta di una sorta di waffle a base di zucchero, nocciole, olio di cocco e cacao in polvere, con dimensioni di 49x17x17 millimetri e un peso di 7,5 grammi per fetta. Da allora, nonostante i decenni trascorsi, la ricetta originale non è mai stata modificata.
E l’azienda di Manner, chiamata Napoli, continua a produrre i wafer esattamente nello stesso modo. Un’altra geniale intuizione di Manner fu nel 1924, quando decise di inserire ogni wafer in una confezione con più wafer insieme.
Questo andava a comporre un totale di 75 grammi a comporre un parallelepipedo piatto rettangolare. È da questa idea che nascono le iconiche confezioni di wafer che conosciamo e che sono state copiate da quasi tutte le aziende del mondo.
Le due guerre mondiali hanno ulteriormente favorito l’attività di Joseph Manner, che diventa fornitore ufficiale dell’esercito in entrambi i conflitti. Inoltre, gli ordini di “arianizzazione” sui territori a influenza tedesca gli hanno permesso di acquisire aziende dolciarie con proprietà ebraiche e di sfruttare manodopera di prigionieri condannati ai lavori forzati.
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L’avvento di Loacker
Nonostante l’espansione e il successo di Manner, il mercato italiano rimase per lungo tempo impenetrabile per l’azienda austriaca. Questo perché un piccolo pasticciere del Südtirol, di nome Alfons Loacker, aveva “copiato” la ricetta dei wafer napolitaner ed aveva iniziato a commercializzarli nella sua regione.
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Per poi espandersi in tutto il Nord Italia e, infine, in tutto lo Stivale. Loacker riuscì a ottenere una sorta di monopolio grazie alla qualità dei suoi prodotti, che ancora oggi sono un marchio riconoscibilissimo sul mercato italiano.
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Dunque, i wafer napolitaner, pur non avendo un legame diretto con la città di Napoli, rappresentano un meraviglioso esempio di come l’eccellenza delle materie prime italiane, in questo caso le pregiate nocciole di Avella, abbia saputo ispirare e influenzare la tradizione dolciaria di altri Paesi, dando vita a un prodotto iconico e amato in tutto il mondo.