Non c’è solo il Coronavirus: l’ente europeo EFSA riferisce di una epidemia violenta di peste suina che dura da mesi e mesi e che proviene sempre dalla Cina.
In Cina non imperversa soltanto il Coronavirus. Ci sono infatti casi di peste suina che ha già decimato svariati capi di bestiame, con milioni di animali soppressi in via preventiva. L’epidemia è anche arrivata in Europa, come fatto sapere dalla EFSA, ovvero l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. E purtroppo l’atteggiamento intrapreso dalle autorità dell’immenso paese asiatico non si dimostrano particolarmente attente nel prevenire disastri come questo, né nel fornire le dovute informazioni in merito. La cosa tra l’altro non è affatto recente. L’imperversare della peste suina africana sarebbe scoppiata già da agosto del 2018. Da allora si parla di ben 440 milioni di capi di allevamento abbattuti, tra atteggiamenti di imprudenza e di irresponsabilità di allevatori ed enti regionali ed anche nazionali. Anche da questo arriva una spiegazione su aumento di prezzi nel settore nel corso degli ultimi anni.
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Sotto accusa la mancanza di misure di precauzione realmente efficaci grazie alla quale ogni eventuale rischio sarebbe potuto essere scongiurato. Ci sono state irregolarità in svariati ambiti. Dal mantenimento degli animali nei loro ambienti in condizioni igienico-sanitarie richieste a mancati controlli sulla macellazione e sullo smaltimento delle carcasse degli animali abbattuti. Oltre a molto altro, capace di favorire il proliferare del virus fino all’Europa. L’agenzia Reuters ha chiesto spiegazioni al ministro dell’Agricoltura cinese, non ottenendo però risposte sufficientemente soddisfacenti. Oltre alle solite promesse di faccia ed alle rassicurazioni del caso non si riscontrano impegni significativi. Ed anzi, l’opinione raccolta a livello regionale racconta anche di alcune denunce da parte di certi allevatori, preoccupati dal fatto di essersi accorti della presenza di focolai della malattia.
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Ma le autorità governative di Pechino hanno ignorato tali segnalazioni, per timore che la cosa divenisse di dominio pubblico. Inoltre implementare i controlli comporta dei costi, che evidentemente le autorità sia locali che nazionali non intendono o non possono sostenere. Le norme vigenti impongono di abbattere, in caso di epidemia, tutti i capi di bestiame inclusi nel raggio di 3 km. Un qualcosa che finisce inevitabilmente con l’avere delle ripercussioni negative disastrose nella filiera. E che i rimborsi governativi pari a 175 dollari statunitensi (e comunque alquanto difficili da ottenere, a quanto pare) per capo abbattuto non bastano a colmare. La peste suina richiede misure estreme, in quanto non esiste un vaccino. La malattia provoca febbre alta, arrossamenti, emorragie ed è altamente letale. L’unica misura cautelativa possibile è purtroppo abbattere gli animali malati e distruggerne i corpi bruciandoli oppure seppellendoli a fondo.
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E poi vanno disinfettati ambienti e personale di lavoro entrati in contatto con gli animali malati. Tutte misure che comportano ulteriori spese, che nessuno è disposto ad accollarsi. Il virus di tale patologia poi risulta molto resistente ed attecchisce per periodi non brevi. Anche questo ne favorisce la diffusione su larga scala. Un rapporto risalente a gennaio 2020 ha reso noto che il 5% di circa 2mila e più campioni esaminati da novembre 2019 ha riscontrato positività al virus della malattia. Cosa che lascia pensare come animali effettivamente malati potrebbero essere stati lasciati in vita e macellati poi come se niente fosse. A tuttora ci sarebbero diversi focolai (si parla di oltre 150 nuclei pandemici) in varie regioni della Cina. Ed a seguito di ciò, il 60% dei capi interessati sarebbe stato abbattuto.
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