La trasmissione di inchieste di Rai 3 mette in risalto un aspetto che la stessa reputa preoccupante in merito al famoso Prosciutto di Parma.
L’industria alimentare italiana è da sempre simbolo di qualità e tradizione, e il Prosciutto di Parma DOP ne è uno dei maggiori rappresentanti. Tuttavia, un’inchiesta recente di Report ha sollevato seri interrogativi sulla gestione e il controllo della produzione di questo rinomato prodotto.
Nonostante il disciplinare stabilisca che almeno il 50% del mangime per gli allevamenti deve provenire dal territorio, l’organismo di controllo Csqa sembra basarsi esclusivamente sulle autocertificazioni degli allevatori, senza effettuare verifiche sul campo.
La puntata di Report, in onda il 17 novembre, si concentra sugli allevamenti suini, iniziando con la grave problematica della peste suina africana, che ha colpito l’Italia in modo significativo.
Immagini esclusive rivelano le criticità legate agli abbattimenti di animali in Lombardia e Piemonte, portando alla luce la continuità di pratiche discutibili da parte di aziende già sotto scrutinio.
La questione dei mangimi è centrale nell’inchiesta. Secondo il disciplinare del Consorzio del Prosciutto di Parma, la metà del mangime deve provenire dalla “zona geografica limitata”. Ma esperti come Dario Frisio, professore di Economia agraria, avvertono che questa regola potrebbe non essere sufficiente.
Negli ultimi dieci anni, la superficie dedicata alla coltivazione di mais, fondamentale per l’alimentazione dei maiali, è diminuita drasticamente. La cosa ha creato una situazione in cui è difficile garantire la qualità e l’origine dei mangimi.
Un aspetto preoccupante emerso dall’inchiesta è la mancanza di controlli reali sui mangimi utilizzati negli allevamenti. Maria Chiara Ferrarese, direttrice generale del Csqa, in un’intervista, ha rivelato che l’ente di controllo si limita a verificare che gli allevatori possiedano un documento attestante che il mangime è “idoneo ai fini della produzione DOP”.
Questa prassi consente di bypassare controlli più rigorosi sulla provenienza del mangime, creando un sistema in cui l’autocertificazione diventa il principale strumento di verifica.
Alcuni esperti dell’industria alimentare confermano che i controlli attualmente in atto non tengono conto della reale origine dei mangimi, rendendo inefficace il requisito previsto dal disciplinare.
Rudy Milani, presidente dei Suinicoltori di Confagricoltura, ha sottolineato che i mangimifici non sono inclusi nel piano di controlli, accentuando ulteriormente la vulnerabilità del sistema.
Questa situazione solleva interrogativi non solo sulla qualità del Prosciutto di Parma, ma anche sulla sicurezza alimentare in generale. Se il mangime non è controllato adeguatamente, si pone il rischio che il prodotto finale possa non rispettare gli standard di qualità e sicurezza richiesti.
La fiducia dei consumatori nei confronti del marchio DOP è messa a repentaglio, e ciò potrebbe avere ripercussioni negative sull’intera industria. Il ministro delle Politiche agricole, Francesco Lollobrigida, ha preferito non fornire commenti dettagliati sulla questione.
Ciò suggerisce che eventuali irregolarità dovrebbero essere segnalate alle autorità competenti. Questa risposta evasiva non ha fatto altro che alimentare le preoccupazioni riguardo alla trasparenza e all’efficacia dei controlli.
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Il Csqa ha già affrontato problemi in passato, essendo stato sospeso per quattro mesi nel 2022 a causa di violazioni ripetute del piano di controlli. Il ministero, riconfermandolo come ente di certificazione, ha sollevato ulteriori dubbi sulla sua capacità di garantire la qualità e la sicurezza del Prosciutto di Parma.
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Le rivelazioni di Report mettono in evidenza la necessità di un riesame approfondito del sistema di controlli e della trasparenza nella produzione alimentare. Affinché il Prosciutto di Parma possa continuare a essere un simbolo di eccellenza, occorre che le pratiche di controllo siano rafforzate e che venga ripristinata la fiducia dei consumatori.
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