Il sushi è tra i piatti più apprezzati dalla tradizione gastronomica dell’Oriente e del Giappone in particolare. Ma bisogna fare attenzione su come prepararlo mangiarlo.
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Alcuni studi mettono in risalto quelli che possono essere i rischi in cui ci possiamo imbattere qualora non dovessimo porre la dovuta attenzione.
Perché l’ingrediente principale del sushi è il pesce crudo, nelle cui carni possono proliferare facilmente dei parassiti e tra questi il cosiddetto “verme delle aringhe” del genere Anisakis.
La presenza di questo ospite indesiderato è aumentato in maniera esponenziale nel corso degli ultimi 50 anni, come posto in evidenza da apposite analisi di laboratorio.
Questa situazione si viene a creare per via di alterazioni della catena alimentare, con dei crostacei che ospitano per una particolare predisposizione tale parassita.
Da qui lo stesso finisce nel pescato utilizzato per la preparazione del sushi, come il tonno (la tipologia di pesce più diffusa in tal senso, n.d.r.) ed il pesce palla.
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Quest’ultimo è impiegato nel fugu, altro piatto tipico giapponese, e possiede la peculiarità di conservare al proprio interno un veleno potentissimo che va necessariamente eliminato prima di cucinarlo.
Ad ogni modo la carne cruda o cotta in maniera non adeguata può nascondere delle insidie importanti e da non sottovalutare.
Non serve puntualizzare come i parassiti in questione possono raggiungere anche i nostri stomaci, come loro meta finale, e dare adito a delle intossicazioni alimentari.
Per prendere le dovute precauzioni si consiglia di tagliare il pesce crudo in pezzi di piccole dimensioni. In tal modo sarà più semplice individuare questo parassita, che ha la forma di un verme di 2 cm di dimensioni in media, ed eliminarlo.
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Poi si pone anche un’altra problematica che non dipende da noi ma dalla cattiva conservazione e dalla carenza di igiene del pesce, che può essere conservato in depositi e cucine dei ristoranti in maniera non consona.
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Altrettanto indispensabile è il mantenimento della catena del freddo, che richiede una esposizione a precise temperature molto basse per garantirne la freschezza e la salubrità delle carni.
In situazioni negative si ha la comparsa di batteri come quelli di Escherichia coli e Salmonella, oppure di istamina che è una sostanza prodotta dalla degradazione dell’amminoacido noto come istidina.
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La sua quantità non deve superare al massimo i 10 grammi per unità. In caso contrario possono avvenire intossicazioni con sintomi quali dolore addominale, mal di testa, nausea ed anche difficoltà nell’ingoiare cibo.
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