La problematica inerente la contaminazione da sostanze nocive per l’uva da tavola tiene banco, tu quale acquisti? Non tutte le marche sono consigliate.
Uva da tavola, questo è uno dei tanti prodotti disponibili nei mercati e nei supermercati per tutto l’anno, grazie a una vasta gamma di varietà, alcune delle quali contengono semi e altre no. Questa abbondanza è il risultato delle strategie delle aziende di import-export nel settore ortofrutticolo, che si riforniscono di uva proveniente da diverse parti del mondo a seconda della stagione.
Ad esempio, tra novembre e dicembre l’uva arriva principalmente dal Brasile e dal Perù; da gennaio a marzo, le forniture provengono da Sudafrica e Namibia; mentre da marzo ad aprile, Argentina, Cile e India sono i principali fornitori. Durante i mesi estivi, da giugno a ottobre, l’Italia, la Spagna, la Grecia e la Francia dominano il mercato. Infine, Turchia e Germania contribuiscono tra agosto e ottobre. Ma questa diversità di provenienza influisce sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto?
Uva da tavola, controlli ed analisi di uno studio tedesco
In Germania, il CVUA (Ufficio per gli Esami Chimici e Veterinari) di Stoccarda ha condotto studi approfonditi per verificare la sicurezza dell’uva da tavola. Nel periodo tra gennaio e ottobre 2024, sono stati analizzati 64 campioni, di cui 61 provenienti da agricoltura convenzionale e 3 da agricoltura biologica. Tra questi, 18 campioni convenzionali e uno biologico erano italiani, rendendo l’Italia il paese di origine più rappresentato, seguito da Sudafrica e Turchia.
Le analisi hanno rivelato che l’uva da tavola proveniente da Paesi al di fuori dell’Unione Europea presenta, in media, una maggiore quantità di pesticidi rispetto a quella europea, con valori medi di 1,9 mg/kg contro 0,57 mg/kg. È emerso che i campioni convenzionali contenevano non solo pesticidi, ma anche residui di più sostanze chimiche. Ogni campione esaminato conteneva in media otto principi attivi, con un massimo di 19 rilevati in un singolo campione.
Questa situazione è attribuibile alla necessità di utilizzare fungicidi e insetticidi nella produzione di uva, poiché le viti sono vulnerabili a diversi parassiti e malattie. Tra i pesticidi più frequentemente riscontrati c’è l’acido fosfonico, un fungicida presente nell’82% dei campioni analizzati, con livelli che arrivano fino a 36,4 mg/kg. Al contrario, nei campioni di uva biologica non sono stati trovati residui di pesticidi.
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Campioni irregolari e sforamenti
L’analisi ha anche messo in luce alcuni campioni irregolari. Otto campioni provenienti da paesi terzi presentavano residui di pesticidi non autorizzati o in quantità superiori ai limiti consentiti. In confronto, solo un campione di origine italiana ha superato i valori massimi stabiliti. In particolare, un campione dalla Namibia ha mostrato tracce di glufosinato, un erbicida vietato nell’UE dal 2018. Nel campione italiano irregolare, sono stati trovati livelli di procimidone, un fungicida bandito dal 2008.
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Inoltre, sono stati riscontrati livelli eccessivi dell’insetticida acetamiprid in sette campioni provenienti dalla Turchia, quattro dei quali contenevano anche alti livelli di un altro insetticida, il piriproxifene. Alcuni di questi campioni contaminati superavano di gran lunga la dose acuta di riferimento (ARfD*) stabilita, il che ha portato le autorità tedesche a considerarli dannosi per la salute.
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È previsto un aggiornamento dei limiti massimi per l’acetamiprid, che scenderanno da 0,5 mg/kg a 0,08 mg/kg, il che significa che questi otto campioni non rispetterebbero i nuovi standard. La dose acuta di riferimento (ARfD) rappresenta la quantità di una sostanza chimica che può essere ingerita attraverso il cibo in un giorno senza rischi significativi per la salute. Sebbene il limite attuale per l’acetamiprid sia già più basso rispetto all’ARfD attuale, una recente rivalutazione tossicologica ha ridotto ulteriormente questa dose.